Si dice arancina o arancino?

arancina

Un intreccio di storia, linguistica e gastronomia

Apprezzata in tutta la penisola, la ‘palla di riso’ fritta tipica della Sicilia fa discutere da decenni. Bisogna chiamarla arancina o arancino? A Palermo la chiamano al femminile, a Catania, invece, al maschile; non basta, quindi, chiedere una conferma definitiva a chi l’ha inventata, perché la questione è più complessa di quanto si possa pensare, tanto che anche l’Accademia della Crusca ha ritenuto doveroso pronunciarsi.

Per prima cosa: da dove arriva l’arancina/o?

Riguardo l’invenzione del timballo siciliano di riso farcito, impanato e fritto, la versione più gettonata è quella li vuole di origine araba. Com’è noto, le popolazioni del nord Africa si sono stanziate nell’isola sicula per lunghi periodi della storia di quest’ultima, tanto da influenzarne la lingua, l’architettura e la cucina. In particolare, si racconta che l’arancina/o tragga origine dal Medioevo, derivando dall’uso degli arabi di mangiare porzioni di riso appallottolate e condite con della carne. La pietanza spesso prevedeva riso allo zafferano nella ricetta, tanto che gli arabi la chiamavano appunto arancia (nāranj in arabo) in virtù del colore e della forma, simili al frutto che in Sicilia cresce in abbondanza.
Per quanto affascinante e verosimile, questa storia non convince tutti, dal momento che le prime attestazioni della parola nei vocabolari siciliani/italiani risalgono al XIX secolo: almeno 8 secoli dopo la dominazione araba durante la quale la ricetta sarebbe stata ‘importata’.

La questione linguistica

Nel suo dizionario siciliano-italiano del 1857 di Giuseppe Biundi, e nel Nuovo Vocabolario siciliano-italiano del 1868 di Antonino Trina, il nome del tortino di riso è riportato in dialetto come ‘arancinu’. Quindi, in italiano, si traduce al maschile? Come già accennato, la questione non è così semplice, ed è qui che l’Accademia della Crusa ha ritenuto necessario intervenire. Per prima cosa, cambiare l’articolo o il genere di parole straniere è una cosa che la lingua italiana fa abbastanza spesso (basti pensare, ad esempio, alla tequila messicana, che in spagnolo è un termine maschile). Ma ancor più nel dettaglio, nella scheda ufficiale pubblicata dalla Crusca si osserva che entrambe le diciture siano da ritenersi corrette per motivi storico-linguistici. Infatti, se è vero che in origine questa pietanza venisse chiamata al maschile (e tuttora nel dialetto dell’isola) di norma la lingua italiana vuole il femminile per i frutti e il maschile per il nome degli alberi che li producono (mela/melo, arancia/arancio, ecctera…) e dal momento che l’arancina prende il nome dal frutto, la forma femminile dovrebbe essere qella più corretta. Si tratta però di una regola ricca di eccezioni, tanto che non è raro sentire la parola ‘arancio’ in riferimento al frutto – soprattutto in Toscana, la culla della lingua italiana, o nella stessa Sicilia, dal momento che anche la forma dialettale del nome del frutto è il maschile aranciu. Al di fuori della Sicilia, poi, la forma che va per la maggiore è quella al maschile.

Sempre nella scheda della Crusca (redatta da Stefania Iannizzotto, linguista di origini sicule che si è anche occupata della ‘toscaninazzione dell Sicilia’ nelle sue ricerche), si sottolinea che l’utilizzo del maschile per la pianta, e il femminile per i frutti, è un’usanza linguistica che risale solamente al ‘900 inoltrato, pertanto non è da escludere che la forma originaria fosse quella al maschile anche a Palermo. Infatti, la pubblicazione analizza come l’assimilazione e l’utilizzo dell’italiano standard sia un fenomeno che riguarda soprattutto i capoluoghi di regione e, in generale, i grandi centri urbani, ed è quindi molto probabile che i palermitani, adattandosi alla forma italiana femminile per la frutta, abbiano iniziato a chiamare così anche il prodotto che ricorda un’arancia, appunto.

La pubblicazione della Crusca è stata e rimane tuttora oggetto di dibattito, e c’è da considerare che la distinzione tra arancina e arancino non è da ritenersi esclusivamente provinciale. Nella rinomata pasticceria-rosticceria Savia, di Catania, la pallina di riso veniva chiamata ‘arancina’ al contrario dell’usanza cittadina, prima di iniziare a utilizzare il dialettale arancinu da dopo l’uscita della pubblicazione della Crusca. Anche lo scrittore catanese Federico De Roberto, nel suo ‘Vicerè’ parla di “arancine di riso grosse ciascuna come un mellone”. Quindi, la forma al femminile sembrerebbe la più corretta dal punto di vista storico-letterario, ma di ricette per le arancine e la loro farcitura ce ne sono di diverse, quindi perché anche il nome non può avere una variante?